Opificio Lamantini Anonimi
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13 lug 2025

Quando l’IA fa flop: storie di errori intelligenti

Lezioni imparate da fallimenti celebri dell'intelligenza artificiale

"Non è il fallimento che conta, ma la lezione che impariamo."

Gli errori che rendono l'IA più umana

L’intelligenza artificiale, malgrado il nome altisonante, è spesso più goffa di quanto vorremmo ammettere. E non nel senso tenero di un lamantino, ma in quello di un assistente digitale che confonde un muffin con un chihuahua. Già. Succede. E succede più spesso di quanto pensiamo.

Non c’è niente di più umano, del resto, che sbagliare. Ecco perché i fallimenti dell’IA non sono solo buffi aneddoti da raccontare davanti a un caffè, ma vere e proprie miniere di conoscenza. Analizzarli ci permette di capire i limiti della tecnologia, certo, ma anche di riconoscere i nostri stessi bias, preconcetti e ingenuità progettuali.

In questo articolo ci immergiamo in alcuni dei flop più clamorosi dell’intelligenza artificiale, con l’occhio critico (ma affettuoso) di chi sa che dietro ogni errore c'è una lezione da imparare. O almeno una buona storia da raccontare.


Il chatbot razzista di Microsoft: quando imparare troppo bene è un problema

Nel 2016, Microsoft lanciò Tay, un chatbot su Twitter progettato per apprendere dai dialoghi con gli utenti. In meno di 24 ore, Tay iniziò a pubblicare tweet razzisti, sessisti e complottisti. Era un esperimento sull'apprendimento automatico finito male: Tay aveva assorbito i peggiori comportamenti degli utenti online, dimostrando che imparare non è sempre sinonimo di evolversi.

La lezione? L'IA non ha un'etica interna. Se il contesto è tossico, anche l'algoritmo più sofisticato diventa uno specchio deformante della peggiore umanità. Serve un filtro. Serve una guida. Serve un design che non dimentichi la complessità del sociale.


Quando l'auto non vede la donna con la bici: l'incidente Uber

Nel 2018 un'auto a guida autonoma di Uber colpì e uccise un pedone a Tempe, in Arizona. L’IA alla guida non fu in grado di riconoscere correttamente l’ostacolo: Elaine Herzberg stava attraversando la strada spingendo una bici, e il sistema non aveva mai "visto" niente del genere durante l’addestramento.

Questo tragico incidente ha sollevato domande enormi: è etico testare tecnologie non mature su strada? Quali sono i limiti della classificazione automatica? E, soprattutto, quanto è importante la diversità dei dati nel training delle IA?

A volte non è l’algoritmo ad essere rotto, ma la nostra fiducia cieca nel suo funzionamento.


AI giudice: quando il pregiudizio è programmato

Negli Stati Uniti, alcuni tribunali hanno utilizzato un algoritmo chiamato COMPAS per prevedere la probabilità di recidiva criminale. Il sistema, però, si è dimostrato più severo con gli imputati afroamericani rispetto a quelli bianchi, anche a parità di condizioni.

Qui il problema non era l’intelligenza dell’algoritmo, ma i dati con cui era stato allenato. Se il passato è intriso di discriminazione, anche l’IA finirà per perpetuarla. Serve vigilanza. Serve consapevolezza. Serve etica.

Un algoritmo può sbagliare. Ma un algoritmo che sbaglia con l'aura di infallibilità è pericoloso.


Deepfake e disinformazione: IA troppo realistica

I sistemi di generazione automatica di immagini, video e audio sono diventati così sofisticati da poter creare contenuti praticamente indistinguibili dalla realtà. Il problema? Non sempre questi contenuti vengono usati per scopi nobili.

Nel 2023 circolò un video falso di una celebrità che promuoveva una truffa finanziaria. Migliaia di persone furono ingannate. Il danno non fu solo economico, ma di fiducia: nel mondo digitale, la verità comincia a vacillare.

Quando l’IA è troppo brava a imitare, la posta in gioco non è più solo tecnologica, ma profondamente politica.


Traduzioni automatiche da brivido

Google Translate ha fatto passi da gigante, ma ogni tanto inciampa. Memorabile fu il caso in cui una frase in arabo che significava "Buongiorno" venne tradotta come "Attacco imminente" da una telecamera di sicurezza integrata con un traduttore automatico. Il risultato? Un arresto ingiustificato.

Le macchine non conoscono il contesto. Non colgono l'ironia, la sfumatura, il tono. E se sbagliano, non si scusano. Almeno non ancora.


Il bias degli assistenti vocali

Alexa, Siri, Google Assistant: tutti promettono di aiutarci, ma non sempre lo fanno in modo imparziale. Studi hanno dimostrato che questi assistenti tendono a rispondere meglio a voci maschili o accenti standard, penalizzando chi ha un accento marcato o una voce femminile.

Il rischio? Rendere invisibili le diversità. Omologare l’intelligenza. Escludere chi non rientra nel "modello di riferimento".

Un’IA davvero intelligente dovrebbe saper ascoltare tutti, non solo chi parla come se fosse in un podcast tech americano.


Inseguendo l'algoritmo perfetto

Molti dei fallimenti dell’IA derivano da una pretesa di perfezione. L’idea che il codice possa risolvere tutto. Ma le persone non sono lineari. Le culture non sono algoritmiche. I problemi sociali non si risolvono con una formula matematica.

Progettare un sistema intelligente richiede più che intelligenza artificiale: richiede intelligenza collettiva, multidisciplinarità, inclusione.


E quindi?

L’intelligenza artificiale non è infallibile. Ma non lo siamo nemmeno noi. Anzi, spesso siamo proprio noi a trasmetterle i nostri stessi limiti.

Questi "flop" non sono sviste da evitare, ma occasioni per ripensare a come progettiamo, implementiamo e raccontiamo la tecnologia. Possiamo costruire un futuro più equo e intelligente solo se impariamo a guardarci negli errori. E magari, a riderci sopra ogni tanto.

Perché anche una lampadina rotta può illuminare. Se non la buttiamo subito via.

Che sia un’idea, una curiosità, una sfida da affrontare, per noi non è mai “solo un contatto”.

È l’inizio di una conversazione, magari davanti a un caffè, reale o virtuale che sia.

Compila il form qui sotto e raccontaci cosa ti passa per la testa.

Promesso: niente automatismi, solo lamantini veri (con tastiera e cervello ben accesi).