Opificio Lamantini Anonimi
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09 ago 2025

IA e Privacy: Una relazione complicata ma necessaria

Quanto è importante proteggere i dati aziendali nell'era dell'IA?

"Non basta proteggere i dati. Bisogna prima sapere quali dati abbiamo e cosa l’IA può farci."

"## Quando la trasparenza diventa un rischio

Nel mondo della comunicazione, siamo abituati a dire che trasparenza e autenticità sono valori. Ma se la trasparenza si trasforma in una vulnerabilità? Se ogni dato che condividiamo – con clienti, collaboratori, software – può finire nei polmoni digitali di un'intelligenza artificiale pronta a respirare informazioni sensibili e sputare fuori qualcosa di imprevisto?

Non è una premessa distopica da romanzo cyberpunk. È il presente, ed è complicato.

Mentre l’Intelligenza Artificiale evolve a ritmi vertiginosi, cresce anche la nostra dipendenza da dati sempre più granulari. Più informazioni ha un algoritmo, più “intelligente” diventa. Ma quei dati, spesso, raccontano storie aziendali che dovrebbero restare private. Contratti, budget, strategie, conversazioni interne, brief creativi, piani futuri: tutto è potenziale nutrimento per modelli che apprendono.

E allora, come si protegge una strategia se può essere "mangiata" da un assistente virtuale troppo curioso?

Il paradosso dell'efficienza

Usare l’IA per migliorare la produttività è diventato quasi inevitabile. Lavorare con assistenti virtuali, automatizzare processi, velocizzare l’analisi dei dati. Un sogno per ogni team operativo. Ma ogni volta che chiediamo a un tool di "fare brainstorming", "suggerire una headline" o "riassumere un documento", ci dimentichiamo una cosa: l’IA non ha la funzione “dimentica”.

Una volta che l’informazione è passata attraverso il sistema, potrebbe essere archiviata, utilizzata per addestrare modelli, o – peggio – finire in mani indesiderate. Non per malizia, ma per architettura.

Ecco il paradosso: l’efficienza aumenta, ma anche il rischio.

Privacy non è solo un disclaimer

Fino a qualche anno fa, "tutelare la privacy" significava aggiornare la policy GDPR sul sito e aggiungere un checkbox nei form. Oggi significa ripensare l’intero modo in cui le aziende raccolgono, trattano e trasmettono dati. Significa chiedersi, ad esempio:

  • Se condivido con ChatGPT il testo di una proposta commerciale, dove finirà quel testo?
  • Se uso un tool di AI per generare contenuti personalizzati, con quali dataset è stato addestrato?
  • Se un cliente ci invia documenti riservati, possiamo garantire che non verranno "processati" senza controllo?

La risposta facile sarebbe: “basta non usare l’IA per cose sensibili”. Ma è una risposta pigra. E soprattutto, irreale.

Il rischio invisibile nei flussi quotidiani

Facciamo un test mentale. In una giornata di lavoro tipo, quanti tool digitali utilizziamo? Notion, Slack, Google Docs, CRM vari, piattaforme di analytics, software di gestione progetti, generatori di testi, AI per immagini, tool per l'automazione delle mail… ognuno di questi strumenti tratta dati. E molti, oggi, integrano componenti intelligenti.

Ora immaginiamo di dover fare audit di tutti i dati che circolano in questi strumenti, capire quali sono sensibili, dove vengono conservati, se vengono usati per addestrare IA. Vi gira la testa? Anche a noi.

Ed è proprio questo il problema: il rischio è invisibile perché è ovunque.

Il caso “prompt troppo esplicito”

Nei progetti di branding o UX design, capita spesso di condividere materiali via prompt: “Analizza il tono di voce di questo cliente”, “Suggeriscimi 3 nomi per questa startup nel settore medicale”, “Cosa ne pensi di questo testo per la homepage?”. In buona fede, si incollano documenti, si raccontano strategie, si descrivono bisogni.

Ecco, ogni prompt è un pezzo di confidenzialità potenzialmente esposto.

Ci siamo chiesti se questo articolo potesse essere scritto direttamente da un'IA. La risposta è: sì, ma a quale prezzo?

Governare l’IA senza bloccarla

La soluzione non è spegnere tutto. L’Intelligenza Artificiale è e sarà sempre più uno strumento insostituibile. Ma come ogni strumento potente, va governato. Non solo con policy legali, ma con cultura.

Ecco alcune buone pratiche che ogni azienda dovrebbe iniziare ad adottare:

  • Creare una mappa dei dati sensibili: sapere cosa è strategico, cosa è riservato, cosa può essere divulgato.
  • Segmentare gli strumenti: non tutto deve passare per gli stessi canali. Se un software di IA non è trasparente sui dati che raccoglie, usiamolo solo per attività pubbliche.
  • Formare i team: l’errore umano è la prima fonte di fuga dati. Serve consapevolezza diffusa.
  • Usare IA on-premise o private: alcuni modelli possono essere integrati nei sistemi aziendali senza inviare dati esterni.
  • Scrivere prompt come fossero email pubbliche: se non lo diresti in una newsletter, forse non dovresti scriverlo in un prompt.

L’etica non è (solo) una parola grossa

C'è una dimensione di responsabilità che va oltre la legge. Possiamo tecnicamente condividere dei dati, ma dovremmo?

Ad esempio: un cliente condivide con noi la sua strategia di pricing. Abbiamo il consenso per usarla in un'analisi? E se ci serve generare un pitch automatico per un altro cliente, possiamo riutilizzare quella struttura?

L’etica della privacy non è solo “non rubare”. È anche non contaminare. Non far passare da un progetto all’altro pezzi di dati che creano interferenze.

E se l’IA ci spiava già da prima?

Un altro tema delicato: molti modelli AI attuali sono stati addestrati su dataset pubblici (ma non sempre esplicitamente autorizzati). Alcuni contengono contenuti estratti da forum, documenti, repository. E se in passato abbiamo pubblicato materiali sensibili per errore? E se una nostra vecchia landing fosse diventata parte del training set?

Domande che non hanno risposte facili, ma che meritano una riflessione.

Il valore dei dati è il nuovo asset intangibile

C’è chi ancora considera i dati come un sottoprodotto dell’attività aziendale. Qualcosa che si accumula. Ma in realtà, sono l’asset più prezioso. E come ogni asset va difeso, ma anche valorizzato.

Questo significa anche capire cosa possiamo fare con l’IA in modo strategico:

  • Creare modelli interni su dati storici (per esempio nel customer care)
  • Automatizzare il reporting senza cedere informazioni a terzi
  • Usare l’IA per testare contenuti, senza condividere asset originali

Sì, si può. Ma serve un progetto, non improvvisazione.

IA: alleata o cavallo di Troia?

La vera domanda non è se usare o meno l’IA. È come convivere con lei in modo sano. Perché non è uno strumento neutro. Ogni volta che la integriamo nei nostri flussi, portiamo in casa un'entità che osserva, impara, archivia. Un collega invisibile ma potentissimo.

E questo collega non ha ancora un’etica, non ha limiti naturali. Non dimentica. E, se non sorvegliato, può essere portatore di rischio sistemico.

Quindi sì, l’IA è utile. Ma serve una cultura della privacy capace di evolversi insieme all’innovazione.

Una questione di fiducia (e design)

In Opificio, lavoriamo spesso su brand identity e design di prodotto. E una cosa l’abbiamo imparata: la fiducia si progetta.

Anche quando si parla di dati. Anche quando si parla di AI.

Serve disegnare sistemi in cui le persone (collaboratori, clienti, fornitori) si sentano al sicuro. In cui i flussi siano chiari, tracciabili, trasparenti. In cui l’uso della tecnologia non sia una black box ma una finestra aperta, anche se protetta.

Ecco perché, quando si parla di IA, il design conta tanto quanto il codice."

Che sia un’idea, una curiosità, una sfida da affrontare, per noi non è mai “solo un contatto”.

È l’inizio di una conversazione, magari davanti a un caffè, reale o virtuale che sia.

Compila il form qui sotto e raccontaci cosa ti passa per la testa.

Promesso: niente automatismi, solo lamantini veri (con tastiera e cervello ben accesi).