"## Impossibile non riconoscerle
Le Gocciole Pavesi hanno deciso di fare un gesto tanto semplice quanto spiazzante: rinunciare al proprio nome.
In una mossa che sa di scommessa (vinta), la nuova campagna "Impossibile non riconoscerle" firmata da Auge e pianificata da MediaClub, ha fatto sparire la scritta "Gocciole" dalle confezioni. Al suo posto? Una serie di pseudonimi improbabili, ironici e stravaganti come "Chicciole", "Nocciogocce", "Biscottoli", "Zucchiole". Tutti nomi fake. Ma il design, la forma, la palette e quell’iconica pioggia di gocce di cioccolato… restano. E bastano.
Una strategia fondata sull'identità visiva
La forza della campagna sta tutta qui: la riconoscibilità del prodotto è talmente consolidata che persino un cambio di nome non riesce a confondere il pubblico. È un esperimento sociale mascherato da marketing: possiamo cambiare il nome, ma tu ci riconoscerai lo stesso.
Ed è esattamente ciò che accade. Lo spettatore guarda il pack, sorride, capisce l’ironia. E dentro di sé pensa: "Certo che sono le Gocciole".
Quando il packaging diventa brand
Le Gocciole ci ricordano una lezione fondamentale: il brand non è solo il logo, non è solo il nome. È l’insieme dei segni — visivi, emotivi, olfattivi, persino sonori — che costruiscono l’identità percepita da chi lo incontra.
In questo caso, il packaging parla chiaro. Lo sfondo beige, le gocce nere, l’asimmetria "gustosa" del biscotto, la cascata diagonale sul pack. Sono tutti elementi che comunicano senza bisogno di parole.
Una creatività che fa branding, non solo pubblicità
La campagna è stata lanciata su TV, digital e out of home. Ma il punto non è la quantità di media coinvolti, bensì l’efficacia dell’idea creativa. Nessun testimonial, nessun jingle, nessun racconto didascalico. Solo una domanda implicita: "Puoi riconoscerle anche senza il nome?"
La risposta, data a milioni di consumatori italiani, è stata un sì corale.
Riconoscibilità come capitale del brand
Questa campagna mette in scena con intelligenza uno dei beni più preziosi per ogni brand: il riconoscimento immediato. E lo fa mettendolo in discussione, testandolo, giocandoci sopra.
Ma proprio in questo gioco sta la dimostrazione della forza di Gocciole: un prodotto che, pur trasformando il suo "biglietto da visita", non perde nemmeno una briciola di riconoscibilità.
Il potere del non detto (e del detto male apposta)
Scegliere di usare dei "nomi sbagliati" è un colpo di genio. Perché cattura l’attenzione, genera sorpresa, attiva la memoria. Ogni nome alternativo è una piccola provocazione affettuosa al consumatore: "Dai, lo sai chi siamo".
E quel sorriso che compare sul volto di chi lo legge, è branding allo stato puro.
Una lezione di branding con la B maiuscola
Quello che le Gocciole stanno facendo non è solo pubblicità. È pedagogia del brand. È una dimostrazione empirica, ironica e deliziosa di cosa succede quando l’identità è davvero forte.
Perché sì, puoi spendere milioni in spot e campagne. Ma se puoi togliere il tuo nome e farti riconoscere comunque... allora hai davvero costruito qualcosa.
Cosa possiamo imparare noi (oltre a comprargli i biscotti)
- Riconoscibilità > Visibilità: non serve urlare, se sei già riconosciuto.
- Identità forte = libertà creativa: puoi giocare, cambiare, reinventare.
- Ironia e branding vanno d'accordo: se sai farli bene.
- Il packaging parla (e grida): trattalo come il tuo miglior canale.
- Il pubblico è più sveglio di quanto pensi: fidati della sua memoria.
E se provassimo anche noi?
No, non ti stiamo dicendo di cambiare nome alla tua azienda in "Fuffole" o "Cocciole". Ma forse vale la pena chiederci: quanto siamo riconoscibili senza il nostro nome?
Il test delle Gocciole ci sfida a pensare oltre il logo, oltre il payoff, oltre il naming. A costruire esperienze, immaginari, emozioni. Che restano. Anche quando cambiano le parole."